Allegria di naufragi

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Il convegno è finito da poco, lo sviluppo del territorio è stato affidato ad un manipolo di volontari. A raccontarlo sei a rischio anoressia: ci fermiamo a mangiare un boccone?
Dove?
C’è Maria sulla strada.
Maria?
Si, il Ghiottone è proprio lungo la strada, a Policastro.
Non ci sono mai stato.
Mi pare una buona ragione per andarci.
Il manipolo, seppure ridotto a due soli volontari, ha fame. Sarà che quando si parla di sviluppo viene l’appetito? La spinta propulsiva si esaurisce alla fine del convegno e il manipolo si disperde. Si rimane soli, come naufraghi. Tristezza infinita. Siamo naufraghi. Toni ride: allegria di naufragi.
La macchina si ferma, a sinistra un’insegna c’invade gli occhi scomposta: è possibile comprare alimentari, carni, ferramenta, pesce e detersivi.
Dal lato nostro, con eleganza ci dicono che siamo arrivati al Ghiottone. Entriamo.
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Ci accoglie Maria. Indaga subito la nostra capacità di capire i suoi piatti anche con un certo sospetto: dobbiamo sembrarle mangiatori di carne in scatola. Poi si addolcisce e ci fa accomodare nella saletta esterna, si vede l’insegna policroma e oscena ma sarà l’unico fastidio da sopportare.
Maria ci racconta un po’ di storia del turismo, ha le competenze per tenere un master universitario: “Da queste parti arrivano bagnanti, non turisti. Mangiano di tutto e confondono i formaggi di latte nobile con il galbanino. Prolifera una generazione che si è adattata e vende sottilette”.
Ci scruta: “Avete preferenze?”
Ci affidiamo a te.
E ci affidiamo a Maria in tutto tranne che nella scelta del vino: manca il nostro preferito della Valle di Mezzo e ne approfittiamo, nel suo disappunto, per chiedere un Gewurztraminer che ci viene garantito dal Nord Europa.
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Ci guardiamo intorno: il locale è pulito ed elegante, i quadri alle pareti ti fanno respirare meglio. Ho bisogno di lavarmi le mani, entro in una toilette da 5 stelle, Maria deve essersi affidata ad un architetto che il mondo, almeno un po’, l’ha visto.
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Torno a tavola: la collaboratrice di Maria in sala ha portato il primo antipasto. La Panzanella: uno sformato di pane rappreso e pomodoro. Da come è servito, ti pare che se lo tocchi rovini un’opera d’arte. Gli occhi tornano su uno dei quadri e vinco sulla Panzanella: affondo la forchetta. Si scioglie sulla lingua, la Panzanella, come se chiedesse vino che arriva subito. Chiudo gli occhi. Li riapro: Toni sta fotografando la Panzanella come fosse Kate Moss.
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Arriva un trancio di focaccina con formaggio fresco di capra e pecora con pomodorini e rucola. Ti viene voglia di pascolare e Maria ci riporta a tavola con un’altra piccola lezione sui formaggi: il latte buono sa di erba, io ci metto l’erba sul formaggio. Vi offro un’esperienza di campo, a tavola.
Adesso l’allegria viene fuori dal mare. I flutti sono alle nostre spalle e Toni ne approfitta per impartirmi una lezione di fotografia che seguo con una certa difficoltà. La mente rincorre i profumi, i sapori. Bevo e chiudo gli occhi.
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Un millefoglie di pesce bandiera con tegole di pane croccante e caviale di melanzana mi fa capire che Toni ha ragione. Mi fermo a guardarlo: sarà dura vincere su questo piatto. È una scultura. Chiudo ancora gli occhi: rivedo la Pietà, rivedo il Cristo Velato. Forse adesso riesco a mangiare il millefoglie. Prendo la mira con un occhio semichiuso e l’altro serrato. Mi sento un cecchino. Il mio gesto diventa una parte dell’opera d’arte di Maria. Quando la forchetta affonda nel millefoglie capisco che Maria non si limita a preparare piatti, prepara la cerimonia, il rito del mangiare. Adesso mi è chiaro anche il nome del ristorante. Ghiottone.
Ancora sogno quando riapro completamente gli occhi su Toni che scatta raffiche di Canon sul millefoglie con bandiera. Mi viene da cantare l’inno, come ai mondiali.
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Nemmeno riesco a dire “Fratelli” che Maria ci consegna un polpo grigliato con patate, sedano e broccoletti. Il polpo scrocca fra i denti e le patate sembrano l’arbitro che separa i pugili sul ring. È la mistica della masticazione. Diavola d’una Maria: un piatto è bello da guardare, l’altro studiato per farti muovere tutti i muscoli della testa.
E che sarà ancora?
Bevo ancora un po’. Diavola!
E ti pareva!
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Spaghetto alle vongole con peperone e mollichella. È un concerto dei Pink Floyd. Inviterei Roger Waters per vedere se è d’accordo. Toni ride… adesso mangia con gli occhi chiusi. È un suonatore di chitarra, conosce la musica. Questa musica, però, non l’aveva ancora ascoltata. Ha bisogno di concentrarsi. Quando si risveglia dall’ipnosi lisergica dello spaghetto stregato, Maria gli punta il dito e ride. “Desiderate un dolce?”
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Tortino ai frutti di bosco e tortino al cioccolato con zabaglione e pistacchi.
Cristo, è finito il vino!
Vi porto un passito?
Grazie.
I tortini parlano, suonano, cantano e ballano: una rapsodia.
Toni scatena la Canon che ormai è diventata autosufficiente. L’obiettivo prende vita. Secondo me vuole assaggiare i tortini.
Diavola d’una Maria. La prossima volta vengo con l’esorcista. Lo conosci già.

Testo di Carmine Farnetano – Canon: Toni Isabella – Regia di Maria Rina

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